Profili teorici e pratici del marchio
Autori: Avv. Ginevra Lombardi e Dott. Alberto Ricasoli Firidolfi
Sommario: 1. Introduzione – 2. Il marchio: nozione e funzioni. – 3. Le classificazioni del marchio. - 4. I requisiti di validità del marchio. – 5. Conseguenze derivanti dall’assenza dei requisiti essenziali – 6. Informazioni pratiche relative alla procedura di deposito del marchio nazionale. – 7. Esame della domanda di marchio, registrazione e rinnovo. – 8. Il diritto di privativa derivante dalla titolarità del marchio: cosa può fare e cosa è vietato al titolare del marchio.
1. Introduzione.
Sempre più spesso, nella quotidianità, viene fatto riferimento ad un marchio come bene tutelato dall’ordinamento in quanto identificativo di un determinato prodotto o, più volgarmente, della provenienza di quest’ultimo da una determinata impresa. La sua funzione non si esaurisce qui, in quanto, oltre ad individuare l’imprenditore e la sua impresa, ed a distinguere prodotti e servizi dell’impresa stessa da quelle concorrenti, il marchio è elemento unificatore di una serie di prodotti, avendo la capacità di fornire al consumatore un mezzo per identificare qualità simili in prodotti che sono contraddistinti dallo stesso marchio.
Lo scopo di questo scritto è di fare maggior chiarezza relativamente ad una materia così complessa quale è quella relativa al segno distintivo più rilevante e più utilizzato nella pratica commerciale.
2. Il marchio: nozione e funzioni.
Il marchio è un segno distintivo tutelato dal nostro ordinamento sia all’interno del Codice Civile agli artt. 2569 e ss., che all’interno del Codice della Proprietà Industriale (D.lgs. n. 30 del 10/02/2005, detto anche C.p.i.).
Il marchio, inoltre, riceve una propria tutela e disciplina anche a livello comunitario ed a livello internazionale, con la consequenziale distinzione di tale segno in marchio nazionale, marchio comunitario e marchio internazionale.
Il marchio comunitario è stato istituito con il Reg. CE 20/12/1993 n. 207 ed è oggi disciplinato dal Reg. CE 26/02/2009 n. 207, mentre la disciplina relativa al marchio internazionale è statuita da due convenzioni internazionali: la Convenzione dell’Unione di Berna del 1883 per la protezione della proprietà industriale, e l’Accordo di Madrid del 1891 sulla registrazione internazionale dei marchi, poi integrato dal Protocollo di Madrid del 1989, nei testi attualmente in vigore.
Il marchio è quindi definibile, tanto a livello nazionale, quanto a livello sovrannazionale, come il segno distintivo dei prodotti o dei servizi poiché idoneo a svolgere funzioni proprie al mondo commerciale attuale. 1
In particolare, essendo l’elemento che contraddistingue e che dà un nome a prodotti e servizi, viene identificato come strumento essenziale di comunicazione tra le imprese ed i consumatori, il quale consente, attraverso l’identificazione e la differenziazione dei beni, l’informazione del consumatore affinché questo possa operare libere scelte nel mercato.
Da quanto detto si comprende come il marchio, se astrattamente considerato non presenti alcuna utilità ed in sé per sé non soddisfi alcun interesse, possa acquistare nelle relazioni commerciali un valore strumentale elevatissimo, tanto da costituire un elemento fondamentale dell’avviamento e quindi del valore di una azienda.
Il segno distintivo in parola svolge differenti funzioni, tra loro inerenti e strettamente correlate allo scopo per cui viene utilizzato all’interno dei mercati.
La funzione principale del marchio è la sua capacità di distinguere, comunicare ed informare: esso, infatti, se apposto ad un oggetto o comunque riferito ad un servizio, percepito e memorizzato dal pubblico, consente di distinguere prodotti e servizi da altri concorrenti. Si tratta, però, di un segno che in sé non ha alcun significato, ossia non comunica alcuna informazione riferibile al prodotto contraddistinto. Infatti, il segno originale e nuovo è semplicemente il nome del prodotto o del servizio, che consente di individuarlo tra gli altri offerti.
La regola ordinaria, difatti, afferma che il marchio non sia dotato di alcuna funzione significativa, bensì solo distintiva. Se questa è la regola, è però possibile affermare che la prassi commerciale si è spinta oltre l’ordinario fino ad elaborare marchi che – oltre ad avere e conservare la loro funzione distintiva – hanno altresì quella significativa, essendo quindi di per sé idonei a comunicare informazioni per il loro significato letterale o intrinseco.2
In dottrina per lungo tempo si è dibattuto – e si dibatte tutt’oggi – se sia possibile identificare nel marchio anche una seconda funzione: quella di indicatore di provenienza di un prodotto da fonte unitaria di produzione. L’opinione tradizionale3 attribuiva la funzione di indicatore di provenienza al marchio sulla base di alcuni “pilastri normativi” (la legittimazione esclusiva dell’imprenditore alla registrazione del marchio, ex art. 22 l.m.; il divieto di cessione del marchio senza l’azienda od un ramo di essa, ex art. 15 l.m.; decadenza del marchio per cessazione definitiva dell’impresa, ex art. 43 co. 2 l.m.), che stabilivano un certo collegamento tra marchio ed impresa.
Normativa non più in vigore, in quanto abrogata con la novella del 1992.
Oggi, infatti, la normativa vigente prevede l’esatto contrario di quanto inizialmente previsto dalla Legge Marchi (Regio Decreto 21 giugno 1942, n. 929): è espressamente previsto che il marchio possa esser registrato da chiunque (ex art. 19 C.p.i), è stata eliminata l’ipotesi di decadenza del marchio per cessazione definitiva dell’impresa del titolare (ex art. 26 C.p.i. ed ex art. 20 del Reg. M.Comunitario), è stata prevista la libera cessione del marchio (ex art. 23 C.p.i. ed ex art. 17 Reg. M.C)4.
Per parte della dottrina appare quindi assai difficile continuare a sostenere che il marchio possa svolgere la funzione giuridicamente protetta di indicazione di origine.5 Nonostante tali elementi di incertezza, vi è comunque chi continua a sostenere l’esistenza di tale funzione, affermando che il marchio sia prevalentemente disciplinato e protetto come indicazione di origine e che questa funzione sia desumibile dalle norme qualificanti della disciplina dell’istituto, ritenendosi invece come eccezionali le ipotesi in cui la tutela del marchio prescinde da un rischio di confondibilità relativamente all’origine del prodotto.6
La dottrina più moderna è comunque concorde nell’affermare, senza alcun dubbio, che l’imprenditore, titolare del marchio, possa modificare le caratteristiche qualitative del proprio prodotto ed usare lo stesso marchio per contraddistinguere prodotti del tutto diversi.
L’ultima funzione caratterizzante il marchio è quella attrattiva. È di comune esperienza, infatti, che certi marchi finiscano per assumere un’autonoma forza attrattiva verso i consumatori: questi ultimi molto spesso tendono ad acquistare determinati prodotti, preferendoli ad altri, solo perché contrassegnati da un marchio famoso. Ad implementare questo comportamento nel consumatore interviene, inoltre, il massiccio impiego dei marchi nella pubblicità commerciale, appositamente destinata ad esaltare la forza di richiamo nel pubblico anche avverso prodotti che in nulla differiscono da quelli che hanno inizialmente dato origine alla celebrità del marchio pubblicizzato.
È perciò comprensibile l’interesse di alcuni titolari di marchi celebri (cfr. par. 4) a contrastare l’uso degli stessi da parte di altri imprenditori, anche per prodotti del tutto diversi (cfr. art. 12 C.p.i. “affatto affini”) da quelli da loro immessi nel mercato.
3. Le classificazioni del marchio.
Il marchio può essere distinto a seconda delle fonti normative che ne dettano una specifica disciplina. Tanto la legge nazionale quanto il Regolamento sul marchio comunitario contengono delle norme dirette a definire la categoria dei segni idonei a costituire un valido marchio.7
Con riguardo al marchio nazionale ed al marchio internazionale designato in Italia, si deve premettere che la mancanza dell’idoneità comporta un rifiuto di registrazione da parte dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (cfr. art. 170 e 171 C.p.i.) e, se la registrazione è avvenuta, comporta la nullità assoluta del marchio.
Con riguardo al marchio comunitario, la inidoneità del segno costituisce un impedimento assoluto alla registrazione (art. 7 co. 1° Reg. m.c.) e tale ragione di rifiuto è rilevata dall’Ufficio e può esser fatta valere da chiunque attraverso la presentazione all’Ufficio di osservazioni. Anche in questo caso, l’inidoneità del segno comporta la nullità assoluta del marchio comunitario (art. 51 Reg. m.c.).
Con riguardo ai requisiti sostanziali di idoneità dei diversi segni, è necessario premettere che la regola generale enunciata sia dall’art. 7 Cpi che dall’art. 4 Reg.m.c., consente la registrazione del marchio di tutti i segni suscettibili di “essere rappresentati”, purché “atti a distinguere” i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli delle concorrenti. Si deve però precisare che, dal marzo 2019, la “rappresentazione” è unicamente riferita alla procedura di registrazione: non è riferita né alla natura, né all’uso del segno, il quale può esser costituito, per esempio, dalla forma del prodotto o da suoni. Rispetto al passato8, il marchio non necessita più di essere suscettibile di rappresentazione grafica per poter essere validamente registrato, in quanto il requisito che la legge richiede è che sia “atto ad essere rappresentato nel registro in modo tale da consentire alle autorità competenti ed al pubblico di determinare con chiarezza e precisione l'oggetto della protezione conferita al titolare”.
Il citato art. 7 del C.p.i. contiene un elenco esemplificativo delle categorie di marchi atti a poter essere registrati.
Prendendo spunto da tale elenco, è possibile classificare i marchi secondo le loro caratteristiche di composizione, e così possiamo citare:
(i) i marchi denominativi, ossia i marchi composti da sole parole (es.: Ferrari);
(ii) i marchi figurativi, ossia i marchi composti solamente da figure, lettere, cifre, disegni o colori, oppure da suoni (come marchio figurativo, possiamo citare la Apple, distinta per la sua mela morsicata);
(iii) i marchi misti, ossia i marchi composti dalla combinazione di parole e di uno o più altri simboli, i quali a loro volta si possono suddividere in marchi complessi, ossia composti da più elementi, ognuno dei quali ha la propria capacità distintiva, e marchi di insieme, i quali sono composti da elementi che, se considerati singolarmente, sono privi di capacità distintiva, ma se considerati come un unicum riescono ad assolvere alla funzione distintiva.
Normalmente, il segno adottato ed utilizzato come marchio è del tutto estraneo al prodotto da esso contrassegnato; avviene, tuttavia, che la funzione distintiva sia altre volte attribuita direttamente alla forma del prodotto o alla sua confezione. In tali casi, si è soliti parlare di marchi di forma, i quali però non devono trarre in inganno in quanto non necessariamente tale categoria di marchi deve essere identificata con oggetti tridimensionali. Inoltre, è bene precisare che l’art. 9 C.p.i. esclude dalla registrazione «i segni costituiti esclusivamente dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto, dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico, o dalla forma che dà valore sostanziale al prodotto». Per “forma imposta dalla natura del prodotto” si intende la forma naturale o “standardizzata”, quindi priva di carattere distintivo; per “forma necessaria ad ottenere un risultato tecnico” si intende la c.d. forma funzionale, ossia quella dettata da ragioni di utilità tecnica e quindi non monopolizzabile se non nei limiti e secondo le regole dei brevetti; infine, per “forma che dà valore sostanziale al prodotto“ si intende la forma il cui pregio incide sostanzialmente sul valore del prodotto. Alcuni esempi di marchi di forma potrebbero essere: la bottiglia di vetro della Coca-Cola, la forma del cioccolato Toblerone, i tessuti usati da varie Case di moda come Gucci o Burberry.
I marchi possono essere ulteriormente distinti:
- sulla base della natura dell’attività svota dal titolare del marchio. In tal senso, è possibile differenziare il marchio di fabbrica (ossia il marchio che viene apposto dalla impresa fabbricante il prodotto) dal marchio di commercio (ossia il marchio apposto dal commerciante del prodotto) o dal marchio di servizio (ossia il marchio apposto dalle imprese che producono servizi);
- sulla base della quantità di prodotti identificati dal marchio, distinguendo il marchio generale (ossia il marchio che viene utilizzato dall’imprenditore per contraddistinguere tutti i prodotti della propria impresa; es. Fiat) dal marchio speciale (ossia il marchio che identifica e differenzia i singoli prodotti dell’impresa; es. Fiat-Panda).
4. I requisiti di validità del marchio.
Per essere tutelato giuridicamente, il marchio deve essere munito di alcuni requisiti essenziali, e precisamente: liceità, verità, originalità, novità.
Con riferimento al requisito della liceità, espressamente richiesto dall’art. 14 c. 1 lett. a) C.p.i, il marchio non deve contenere segni contrari alla legge, al buon costume o all’ordine pubblico. Si tratta di un caso di c.d. impedimento assoluto alla registrazione e di nullità assoluta del marchio. Sempre con riferimento al requisito della liceità, l’art. 10 C.p.i., stabilisce che non è possibile registrare un marchio contenente “stemmi e gli altri segni considerati nelle convenzioni internazionali vigenti in materia, nei casi e alle condizioni menzionati nelle convenzioni stesse, nonché i segni contenenti simboli, emblemi e stemmi che rivestano un interesse pubblico inclusi i segni riconducibili alle forze dell'ordine e alle forze armate e i nomi di Stati e di enti pubblici territoriali italiani” senza espressa autorizzazione dell’autorità competente. Ai sensi dell’art. 14 c. 1 lett. c) C.p.i., non possono costituire oggetto di registrazione di marchio i segni lesivi di un altrui diritto di autore o di proprietà industriale. Inoltre, dall’art 8 C.p.i. è fatto divieto di utilizzare come marchio l’altrui ritratto senza il consenso dell’interessato o, dopo la morte di questi, dei suoi discendenti fino al 4° grado. Lo stesso articolo vieta anche l’utilizzo del nome altrui come marchio, sia che si tratti di persona nota, sia che si tratti di persona non nota (in tal caso, è vietato solo se lede la fama, il credito o il decoro dell’avente diritto al nome).
In relazione al requisito della verità (anche detta non decettività), l’art. 14 c. 1 lett. b) C.p.i. vieta la possibilità di inserire nel marchio segni idonei a trarre in inganno il pubblico sulla provenienza geografica, natura o qualità dei prodotti/servizi. Tale caratteristica essenziale è da porre in relazione alla funzione significativa che svolge il marchio: essendo quest’ultimo primariamente volto a distinguere e secondariamente volto a comunicare informazioni, è necessario che venga vietata l’adozione di segni che siano, per loro natura, tali da ingannare il pubblico circa la natura, la qualità o la provenienza del prodotto o del servizio contraddistinti. Esempi di marchio decettivo sono quei marchi che, evocando una certa natura del prodotto (es. richiamando materiali in cuoio o seta), siano registrati esclusivamente e specificamente per prodotti diversi (es. per prodotti in plastica o fibre sintetiche).
Il terzo requisito essenziale per la validità del marchio è l’originalità. Per assolvere alla sua funzione distintiva, il marchio deve essere originale, ossia il suo oggetto deve esser composto in modo tale da consentire l’individuazione dei prodotti contrassegnati fra tutti i prodotti dello stesso genere immessi sul mercato.
All’art. 13 C.p.i. il legislatore, al fine di determinare quando un marchio è dotato di capacità distintiva, operando “a contrario”, ha individuato quali sono i segni privi di tale capacità:
Per poter identificare i segni distintivi muniti di carattere originale, all’art. 13 C.p.i. il legislatore, operando un ragionamento a contrario, ha elencato gli elementi che non consentono al marchio di svolgere la propria primaria funzione, e così:
(i) non sarà un marchio quello contenente delle denominazioni generiche, ossia contenente indicazioni o elementi riferiti genericamente al prodotto (es. un marchio per calzature non potrà essere costituito esclusivamente dalla parola “scarpe” o dalla figura di una scarpa);
(ii) non sarà un marchio quello contenente le indicazioni descrittive, ossia contenente riferimenti ad una o più caratteristiche del prodotto, alla sua provenienza geografica o alle sue prestazioni (es. un marchio per lucida scarpe non potrà essere costituito esclusivamente dalla parola “brillo”);
(iii) non sarà un marchio quello contenente segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente (quali, ad esempio le parole “super”, “extra” oppure “lusso”) ed in genere tutti i prefissi e suffissi. La ragione posta alla base di questo divieto risiede nella volontà del legislatore di impedire l’acquisto di posizioni di monopolio su simboli che nel lessico comune individuano genericamente quel dato prodotto.
Pertanto, con riferimento al requisito della originalità, è possibile affermare che questo è rispettato quando l’oggetto del marchio è formato da denominazioni, anche geografiche, o figure generiche che non abbiano alcuna relazione con il prodotto contraddistinto.
Inoltre, in relazione alla originalità, è sempre possibile usare come marchio denominazioni generiche o parole di uso comune, modificate o combinate tra loro in modo fantasioso. In tali casi, però, la capacità distintiva del marchio è affidata alla modificazione o combinazione di fantasia e solo entro tali limiti il titolare del marchio è tutelato contro l’altrui imitazione. Questa categoria di marchio è definita debole, poiché basteranno lievi modifiche o aggiunte per escludere la confondibilità (es. Amplifon e Udifon).
La categoria diametralmente opposta al marchio debole si definisce marchio forte. Sono tali i marchi dotati di accentuata capacità distintiva ed usualmente appartengono a questa categoria i marchi di pura fantasia. Infatti, per tali marchi, le modifiche anche di notevole entità non basteranno ad evitare la contraffazione.
La distinzione tra marchi deboli e forti non è sempre agevole. Difatti, può verificarsi che un marchio nasca debole e diventi successivamente “forte” grazie all’uso che ne è stato fatto e grazie alla notorietà che ha acquistato presso il pubblico dei consumatori, magari facilitata da una accorta pubblicità (c.d. secondary meaning). L’attuale disciplina, infatti, riconosce che il secondary meaning: da una parte, può far acquistare carattere distintivo ad un segno che originariamente ne era privo, così rendendone possibile la registrazione come marchio (es. Spizzico; sigaro Toscano); dall’altra, può far trasformare un marchio originariamente privo di capacità distintiva in un marchio valido.9
L’ultimo e non meno importante requisito essenziale del marchio è la novità, il cui concetto è stato precisato dal legislatore nell’art. 12 Cp.i. All’interno dell’ordinamento, esso assume particolare rilievo in quanto, al pari della liceità, se un marchio manca di questo requisito è nullo ai sensi dell’art. 25 C.p.i.
Il marchio è “nuovo” se, prima della sua registrazione, non sono stati registrati altri segni simili o identici per prodotti o servizi identici o affini. Il fondamento di tale requisito essenziale è precisato nello stesso art. 12: il legislatore ha voluto evitare che “a causa dell'identità o somiglianza tra i segni e dell'identità o affinità fra i prodotti o i servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni”.
È possibile, quindi, affermare che si tratta di un ulteriore profilo della capacità distintiva del marchio, complementare ma distinto rispetto all’originalità.
Facciamo un esempio per distinguere i due requisiti: un imprenditore decide di registrare il marchio “aeroplano” per le calzature che produce la propria impresa. Tale marchio sarà sicuramente originale ma non sarà nuovo se il medesimo marchio sarà già stato registrato per la categoria merceologica delle calzature da un altro imprenditore, in quanto ingenererà confusione nel consumatore.
Il requisito della novità consente, inoltre, di operare una ulteriore distinzione tra i marchi, distinguendoli tra marchi ordinari e marchi celebri.
Si definisce marchio ordinario, ai sensi dell’art. 12 co. 1 lett. a), b), c) e d) C.p.i., il marchio caratterizzato da elementi che non sono nuovi in quanto possono determinare “un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione tra i due segni”, perché si tratta di segni identici o simili ad un segno già noto come marchio, ditta o insegna, nome a dominio usato nell’attività economica o altro segno distintivo di un imprenditore concorrente (art. 12 lett a e b), o comunque già registrato da altri come marchio di prodotti identici o affini (art. 12 lett c e d).
Si definisce marchio celebre il marchio particolarmente noto grazie alla fama raggiunta nel corso del tempo nel mercato e così identificato dalle autorità nazionali preposte. A differenza del marchio ordinario, in relazione alla sussistenza del requisito della novità, per il marchio celebre non è necessario che vi sia rapporto di affinità tra i prodotti. Infatti, ex art. 12 co. 1 lett. f), non saranno dotati di novità i segni che “siano identici o simili ad un marchio già notoriamente conosciuto ai sensi dell'articolo 6 bis della Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale, per prodotti o servizi identici, affini o non affini”. Il legislatore, prevedendo una “estensione” della tutela del marchio celebre rispetto a quello ordinario, ha voluto evitare che l’utilizzatore possa trarre un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore o possa loro arrecare pregiudizio (es. marchio della casa automobilistica Ferrari utilizzato da un produttore di orologi non sarà nuovo in quanto in contrasto con il celebre marchio emiliano).
Particolarmente rilevante, ai fini della verifica del requisito della novità, è il c.d. controllo delle anteriorità, ossia il controllo che deve essere fatto preventivamente al deposito della domanda di registrazione e che è volto a verificare che non siano già presenti, negli appositi registri, altri segni distintivi (N.B. non solo marchi, ma anche gli altri segni qualificati come distintivi da parte dell’ordinamento, per il c.d. principio di unitarietà dei segni distintivi sancito all’art. 22 C.p.i.) tali da rendere “non nuovo” un segno.
La data alla quale si deve fare riferimento per stabilire l’anteriorità, e quindi la novità di un marchio, è la data di deposito della domanda o la data anteriore alla quale risale il c.d. diritto di priorità10 (ex art. 4 Conv. Unione di Parigi ed ex art. 4 C.p.i.), o ancora la protezione temporanea di cui all’art. 18 C.p.i11. In altre parole, la data rilevante per il controllo delle anteriorità è la data di deposito della domanda o la data alla quale risalgono gli effetti del deposito, e non quella di registrazione.
La ratio di tale controllo delle anteriorità si ritrova nella volontà di impedire il rischio di confusione da valutarsi in astratto, ossia nel raffronto tra segni e le categorie merceologiche per i quali sono stati registrati.
Infine, ma non meno importante, il marchio di cui la domanda di registrazione è stata precedentemente depositata potrà impedire la sussistenza dell’elemento di novità nel marchio successivo solo ed esclusivamente qualora alla domanda stessa sia conseguita la registrazione (cfr. art. 12 co. 2 C.p.i.).
5. Conseguenze derivanti dall’assenza dei requisiti essenziali
Il marchio, come è stato precisato nei precedenti paragrafi, deve rispettare i requisiti di validità richiesti dalla legge. Sorge spontaneo chiedersi, pertanto, quali siano le conseguenze derivanti dalla mancanza di uno o più di tali requisiti.
Il legislatore risponde a tale questione prevedendo espressamente:
- all’art. 25 C.p.i., che “il marchio è nullo: a) se manca di uno dei requisiti previsti nell'articolo 7 o se sussista uno degli impedimenti previsti dall'articolo 12; b) se è in contrasto con il disposto degli articoli 9, 10, 11, 11 bis, 13, 14, comma 1, e 19, comma 2; c) se è in contrasto con il disposto dell'articolo 8; d) nel caso dell'articolo 118, comma 3, lettera b).”;
- all’art. 27 C.p.i., che se i motivi “di nullità di un marchio d'impresa sussistono soltanto per una parte dei prodotti o servizi per i quali il marchio è registrato, la decadenza o nullità riguardano solo questa parte dei prodotti o servizi”.
È necessario precisare, però, che tali previsioni normative subiscono due eccezioni.
In primis, la nullità per difetto di novità non può esser dichiarata quando chi ha richiesto la registrazione non era in malafede e il titolare del marchio anteriore ne abbia tollerato l’uso per cinque anni. Si tratta della c.d. convalida del marchio, la quale, ai sensi dell’art. 28 C.p.i., è applicabile al conflitto tra due marchi, entrambi registrati, e comporta in ogni caso la coesistenza dei due marchi confondibili.
In altre parole, nel caso in cui un imprenditore abbia registrato ordinariamente un marchio e, in un momento successivo, un altro imprenditore abbia registrato in buona fede lo stesso marchio per la stessa categoria merceologica, quest’ultimo sarebbe titolare di un marchio nullo in quanto sicuramente in difetto del requisito di nullità. Ai sensi dell’art. 28 C.p.i., se il titolare del marchio anteriormente registrato tollera per almeno cinque anni la presenza nel mercato del marchio registrato successivamente, quest’ultimo si può dire convalidato e, pertanto, sanato dal difetto di nullità.
In secundis, la nullità per difetto di originalità di un marchio non può essere dichiarata quando, a seguito dell’uso che ne è stato fatto, esso abbia acquistato capacità distintiva prima della proposizione della domanda o dell’eccezione di nullità. Si tratta del caso di secondary meaning, di cui si è detto nei paragrafi precedenti.
6. Informazioni pratiche relative alla procedura di deposito del marchio nazionale.
Il procedimento di deposito di un marchio nazionale è disciplinato dagli artt. 156 e ss. C.p.i. e dall’art. 11 reg. attuazione del C.p.i. (d.m. 13 gennaio 2010, n. 33) i quali specificano le modalità di deposito, le informazioni necessarie ai fini del deposito e i requisiti che deve avere la domanda.
La domanda deve essere presentata all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM o Ufficio), una direzione del Ministero dello Sviluppo Economico, scegliendo tra una delle tre modalità previste nel nostro ordinamento.
Con la modalità telematica la domanda di marchio viene depositata accedendo a un’apposita piattaforma dell’UIBM previo accreditamento. In questo caso è possibile optare per la procedura fast-track che permette di ridurre notevolmente i tempi di esame di merito della domanda.
In alternativa, è possibile compilare i moduli scaricabili dal sito e depositare tutta la documentazione necessaria presso la Camera di Commercio (modalità cartacea), che provvede a inoltrarla all’Ufficio, oppure inviarli direttamente per raccomandata alla sede dell’UIBM (modalità postale).
Il Codice prevede, innanzitutto, che nella domanda sia identificato il richiedente, il quale può essere una persona giuridica, un’associazione, un ente o una persona fisica; per cui, in caso di persona fisica, dovrà essere specificato nome, cognome, nazionalità e domicilio del richiedente; per le persone giuridiche, invece, la sede e la nazionalità. La domanda di marchio può essere presentata anche da stranieri a condizione che abbiano eletto domicilio in Italia.
Il richiedente può avvalersi di un mandatario, il quale dovrà essere iscritto all’Ordine dei Consulenti in Proprietà Intellettuale o all’Ordine degli Avvocati e munito di apposita lettera di incarico.
Nella domanda deve essere specificato il tipo di marchio depositato (marchio verbale/denominativo, figurativo, tridimensionale ecc.) e deve esservi una rappresentazione del segno che si vuole tutelare, con tanto di elementi grafici e eventuali colori rivendicati nel caso di marchio figurativo. È inoltre importante descrivere dettagliatamente il marchio per mettere in evidenza le caratteristiche dello stesso.
Poiché la tutela del marchio è settoriale – ovvero è circoscritta solo ai prodotti e ai servizi rivendicati dalla domanda – per ogni marchio dovranno essere indicate una o più classi di Nizza12, specificando i prodotti o i servizi che questo marchio andrà a contraddistinguere. Ad esempio, se si registra il marchio “XYZ” per articoli di abbigliamento, si dovrà indicare nella sezione dedicata alla classificazione di Nizza la classe 25, quella appunto che contiene articoli di abbigliamento, e specificare ulteriormente il tipo di prodotti che voglio rivendicare nella mia domanda, appunto “articoli di abbigliamento”. Per eseguire ricerche nella classificazione di Nizza è possibile servirsi di TMclass, uno strumento interattivo di ricerca disponibile in tutte le lingue ufficiali dell'UE.
Ai sensi dell’art. 4 C.p.i.13, qualora ne sussistano le condizioni, è possibile rivendicare la priorità di un marchio14 .
Infine, più o meno contestualmente al deposito della domanda di marchio è necessario procedere al pagamento delle relative tasse, il cui importo varia in base a diversi criteri, inclusa la modalità di deposito prescelta.
Per informazioni specifiche sui costi relativi alle domande di marchio è consigliabile visitare il sito dell’UIBM15; di regola, comunque, il costo per il deposito di una domanda di marchio comprensiva di una classe di Nizza è di 101 Euro; se la domanda rivendica ulteriori classi devono aggiungersi 34 Euro per ogni classe. Vi è poi un’imposta di bollo pari a 42 Euro in caso di deposito online e 16 Euro ogni quattro pagine in caso di deposito cartaceo.
Sul sito dell’UIBM sono disponibili informazioni più dettagliate sulle singole modalità di deposito ed è possibile scaricare la documentazione necessaria16.
7. Esame della domanda di marchio, registrazione e rinnovo.
Una volta depositata la domanda di marchio si apre la fase dell’esame. Le domande sono assegnate all’esame secondo l’ordine cronologico di deposito, ad eccezione di quelle che adottano la procedura fast-track che seguono un canale specifico.
Durante questa fase, l’UIBM effettua un esame formale in cui verifica la ricevibilità della domanda ed un esame sostanziale della stessa.
L'esame formale serve ad accertare che la domanda sia stata compilata correttamente e che siano state pagate le tasse.
Alcune cause di irricevibilità della domanda sono:
la mancata indicazione del richiedente identificato o identificabile;
la mancata indicazione del domicilio elettivo;
l’assenza delle classi (aver lasciato la casella vuota) e dell’indicazione dei prodotti/servizi;
l’assenza della riproduzione del marchio: immagine (in caso di marchio figurativo) o denominazione (in caso di marchio denominativo).
Una volta accertata la ricevibilità della domanda, l’Ufficio effettua un esame sostanziale, ovvero verifica che il marchio abbia i requisiti di legge e che quindi non presenti impedimenti assoluti alla registrazione.
Se vi sono delle criticità, l’UIBM invia delle comunicazioni ufficiali (c.d. rilievi) al domicilio elettivo indicato nella domanda, assegnando al titolare/mandatario un tempo per rispondere. In caso di mancata risposta o di risposta insufficiente, l’UIBM rigetta la domanda.
Nel corso della fase di esame, chiunque sia interessato può presentare all’UIBM delle osservazioni, specificando i motivi per cui la domanda di marchio non dovrebbe passare a registrazione. Se ritenute pertinenti, l’Ufficio comunica tali osservazioni al richiedente al quale è concesso un termine per depositare le proprie deduzioni.
La domanda che supera l’esame è ritenuta registrabile ed è pubblicata sul Bollettino, accessibile a tutti sul sito dell’UIBM. Da questo momento, chi ha un titolo anteriore che reputa confliggente con la domanda di marchio depositata può opporsi alla registrazione della medesima tramite la c.d. procedura di Opposizione, un procedimento amministrativo che deve essere iniziato entro tre mesi dalla pubblicazione della domanda.
Se invece la domanda non è opposta entro il termine sopraindicato, passa a registrazione.
Il marchio registrato ha una validità di dieci anni a partire dalla data di deposito della registrazione e può essere rinnovato un numero infinito di volte entro sei mesi dalla data di scadenza o, al massimo, fino a sei mesi dopo tale data. In quest’ultimo caso è necessario pagare, oltre alla tassa di rinnovo, una mora.
8. Il diritto di esclusiva derivante dalla registrazione del marchio: cosa è concesso e cosa è vietato al titolare del marchio.
Secondo quanto previsto dall’art. 20 C.p.i., con la registrazione del marchio il titolare ottiene i c.d. diritti di esclusiva sul medesimo, ovvero la facoltà di usare il proprio segno in via esclusiva per i prodotti e servizi ivi rivendicati e nel territorio in cui il marchio è registrato. In realtà, gli effetti della registrazione decorrono da una data anteriore, ovvero la data di deposito della domanda.
Al titolare è dunque riconosciuta la facoltà di impedire a terzi di utilizzare, nella loro attività economica, un marchio identico al proprio per prodotti e/o servizi identici o un marchio identico o simile al proprio per prodotti e/o servizi identici o affini, qualora possa verificarsi un rischio di confusione per il pubblico.
Con quest’ultima asserzione, il legislatore intende riconoscere al titolare il potere di opporsi anche alla registrazione/uso di un segno identico o simile e successivo al proprio che rivendica prodotti e/o servizi che, sebbene non identici, siano simili per vicinanza merceologica in quanto destinati alla stessa clientela o al soddisfacimento di bisogni “complementari”; condizione indispensabile, tuttavia, è che, a causa dell’identità o somiglianza tra i marchi e i prodotti/servizi rivendicati, il consumatore medio sia indotto in confusione, ovvero ritenga – anche se solo sul piano astratto – che il marchio del titolare e quello del terzo appartengano allo stesso imprenditore. Ovviamente si tratta di una valutazione che non può essere improvvisata, ma che deve tener conto dei criteri stabiliti dai giudici durante i contenziosi o dagli esaminatori in sede di Opposizione.
Inoltre, come già anticipato nel paragrafo 4, nel giudizio di confondibilità tra due segni, l’ambito di tutela che è riconosciuta a ogni marchio varia a seconda del proprio grado di capacità distintiva. Infatti, tanto più un marchio è forte, e quindi dotato di una spiccata capacità distintiva, tanto più sarà alto il rischio di confusione con un marchio che presenta lievi differenze. Diversamente, se un marchio è debole, ovvero ha una limitata capacità distintiva in quanto è evocativo dei prodotti e/o servizi che contraddistingue, saranno sufficienti lievi modifiche o aggiunte per escluderne la confondibilità (es. Amplifon e Udifon).
Ancora più ampia è la tutela riconosciuta ai marchi celebri (quali Coca-Cola, Ferrari, Apple). Infatti, come detto nel paragrafo 4., il titolare ha il potere di vietare l’uso di un marchio identico o simile al proprio marchio celebre anche nel caso di prodotti e/o servizi diversi e non necessariamente affini a quelli per cui il marchio celebre è stato registrato. Alla base di questa decisione vi è la volontà del legislatore di tutelare gli investimenti effettuati dal titolare e il conseguente potere attrattivo che il marchio ha ottenuto, impedendo che il terzo possa trarre un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del segno anteriore o possa arrecare pregiudizio al marchio celebre.
È importante precisare che i diritti di esclusiva conferiti dalla registrazione si riferiscono solo ai casi di uso del marchio durante l’attività economica di un soggetto e non si estendono anche ai c.d. usi civili del marchio (quelli, appunto, fuori dal commercio) che sono ammessi e del tutto leciti in quanto rientrano nella libertà di espressione e che semmai potranno configurare un illecito laddove si traducano in un comportamento lesivo o che sconfini dai limiti di continenza propri del diritto di critica.
Tutto quanto finora detto sui diritti di esclusiva riconosciuti al titolare trova un’eccezione all’art. 21 del C.p.i., secondo il quale l’uso del marchio altrui all’interno dell’attività economica è scriminato, e quindi lecito, se effettuato con una finalità meramente descrittiva e nel rispetto dei principi di correttezza professionale.
La norma fornisce una casistica specifica in cui questo limite si applica, ovvero quando il marchio altrui è usato come nome o indirizzo, per specificare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica, l’epoca di un prodotto o della prestazione del servizio, per definire altre caratteristiche del prodotto o del servizio e infine per identificare prodotti o servizi del titolare di tale marchio, specie se l'uso del marchio è necessario per indicare la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio.
Per fare un esempio concreto, pensiamo a un’officina specialista nella riparazione e nella manutenzione di automobili di un determinato marchio, la quale comunica al pubblico la propria attività citando il marchio in questione; questo può essere ritenuto un uso lecito del marchio altrui a condizione che il terzo utilizzatore rispetti i requisiti di correttezza professionale e, quindi, eviti di far sembrare che vi sia un legame commerciale con il titolare del marchio o che sia un fornitore ufficiale o autorizzato17.
La ratio di questo limite è quella di smorzare la tutela monopolistica attribuita al marchio e tutelare gli interessi - ritenuti in questo contesto prevalenti e meritevoli di tutela - di altri operatori economici che intendono utilizzare il segno solo per “esigenze di comunicazione sul mercato” inerenti allo svolgimento di una loro attività lecita.
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