Autore: Avv. Cristina Trocker
Redazione Diritto al Punto Podcast
L’emergenza pandemica Covid-19 è ormai una realtà non più solo nazionale, ma mondiale.
Siamo quotidianamente tempestati da nuovi decreti governativi, nuove misure di contenimento nazionali e regionali, bollettini e aggiornamenti medici con tutte le raccomandazioni necessarie per arginare la diffusione dell’epidemia, prima fra tutte “restare a casa” ed uscire
solamente se e quando strettamente necessario, per far fronte alle esigenze c.d. essenziali.
Tuttavia non per tutti il focolaio domestico è un luogo protetto, dove sentirsi al sicuro, e può rivelarsi una vera e propria prigionia e persino un luogo letale.
Stiamo parlando di tutte quelle realtà, purtroppo assai frequenti, di violenza domestica.
Il reato di violenza domestica o, per la lettera dell’art. 572 del codice penale, il reato di “maltrattamenti contro familiari o conviventi” ricorre qualora venga arrecata violenza a un familiare, a un convivente o a una qualsiasi persona affidata alle proprie cure, alla propria vigilanza,
istruzione o educazione, all’interno della mura domestiche o in luoghi come strutture di assistenza e ricovero.
La finalità della norma penale è di punire chiunque abusi di soggetti, la cui situazione di debolezza è data dal sottostare alle cure, alla guida, agli insegnamenti di una data persona, o all’abitudinarietà di un certo ménage familiare. È bene chiarire che può trattarsi tanto di una famiglia legittima, ossia unita in matrimonio, quanto di una famiglia di fatto.
La violenza, cui fa riferimento la norma penale, può coincidere sia con la violenza fisica che con quella verbale, o ancora con la violenza assistita, per tale intendendosi qualsiasi forma di maltrattamento, subita da un minore, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative, siano essi adulti e minori.
Qualunque sia il tipo di violenza nel caso concreto, affinché possa configurarsi il reato è richiesta l’abitualità delle violenze e il loro reiterarsi nel tempo. Singoli episodi, sporadici, impediscono di poter parlare di violenza domestica, ma ciò non esclude che, gli stessi, possono dar vita a reati diversi (come ad esempio al reato di percosse o lesioni).
Vien fatto di precisare che la fattispecie criminosa di violenza domestica può configurarsi tanto con una condotta attiva, quanto con una condotta omissiva, ossia qualsiasi comportamento inerte, di colui che deve avere cura della persona offesa, dinanzi agli episodi di perpetrata violenza (a mero titolo esemplificativo si pensi all’ipotesi di una madre che resta inerte dinanzi alle percosse perpetrate dal marito sul figlio).
In una situazione come quella che viviamo attualmente, l’isolamento, la convivenza forzata e l’instabilità socio-economica, possono aumentare il pericolo di fenomeni di violenza domestica e assistita.
Le restrizioni in corso e la conseguente prolungata condivisione degli spazi con il maltrattante, rischiano non solo di offrire al maltrattante maggiori occasioni di controllo e di limitazione della libertà per dar corso ad episodi di violenza, ma possono anche costituire un serio ostacolo per chi li subisce di richiedere aiuto rivolgendosi ai relativi servizi.
Nei giorni, scorsi il giudice Maria Letizia Giannella della procura di Milano ci ha avvertito che dall’inizio dell’emergenza in corso si è potuta notare una diminuzione delle denunce per maltrattamenti. Ancora non sono disponibili dati numerici precisi ma è facile immaginare che sia proprio la convivenza forzata con i compagni, mariti e con i figli, in questo periodo, a scoraggiare le donne dal telefonare o recarsi dalle forze dell’ordine.
L’esperienza cinese può essere emblematica. In Cina dove sono state messe in atto tutte le misure di isolamento totale, questi effetti “secondari” della pandemia si sono già verificati con un impatto enorme sulla violenza domestica. Secondo un’organizzazione non governativa cinese che lavora con le donne, dal 6 marzo il numero totale di casi di violenza domestica nella prefettura di Jingzhou, nella provincia di Hubei, è salito a oltre 300, e a febbraio il numero di casi era raddoppiato rispetto allo stesso periodo dell’anno passato.
È fondamentale, quindi, far fronte anche questa emergenza e rassicurare, per quanto possibile, o comunque informare, le vittime che la rete antiviolenza è presente, attiva e in grado di aiutarle, e che anche in questo periodo di “tutto serrato” possono continuare a ricevere consulenza, sostegno e protezione. I Centri Antiviolenza nazionali hanno preso immediate misure per continuare a garantire la prosecuzione della loro attività rimanendo disponibili h 24 e 7 giorni su 7 per consulenze telefoniche e accoglienza di persone in situazioni di emergenza. È, altresì, attivo 24 ore su 24 per tutti i giorni dell’anno il Numero Nazionale Antiviolenza Donna 1522 ed accessibile dall’intero territorio nazionale gratuitamente, sia da rete fissa che mobile, con un’accoglienza disponibile nelle lingue italiano, inglese, francese, spagnolo e arabo. Le operatrici telefoniche forniscono una prima risposta ai bisogni delle vittime di violenza di genere e stalking, offrendo informazioni utili e un orientamento verso i servizi socio-sanitari pubblici e privati presenti sul territorio nazionale, come ad esempio i Centri Antiviolenza. Qualora la vittima si trovi nell’impossibilità di parlare direttamente con le operatrici è comunque disponibile un’applicazione del 1522, scaricabile gratuitamente sia per dispositivi Android che IOS, che consente anche di chattare in modo silenzioso con le operatrici del servizio. Sul sito www.direcontrolaviolenza.it è possibile individuare il Centro Antiviolenza più vicino. Nelle drammatiche ipotesi di emergenza immediata è sempre possibile, e anzi doveroso, rivolgersi alle Forze dell’Ordine o al Pronto Intervento (Carabinieri –112, Polizia di Stato –113, Emergenza sanitaria –118) e, nel caso in cui non si riesca a farlo personalmente, chiedere a qualcuno di chiamare. È fondamentale sensibilizzare l’intera popolazione rispetto all’importanza di contattare le forze dell’ordine nel caso dovessero assistere o fossero a conoscenza di situazioni di violenza. Benchè vi sia l’esortazione alle vittime di scappare in caso di pericolo e non appena se ne presenti la possibilità, portando con sé i propri figli, in attesa dell’arrivo delle Forze dell’Ordine, la paura di dover abbandonare la propria casa in questo periodo complicato rischia di essere un deterrente ulteriore alla denuncia della propria condizione. Proprio per questo merita portare all’attenzione di tutti l’importante decisione del procuratore di Trento, Sandro Raimondi, che ha stabilisto che, in caso di violenza domestica, non saranno più le donne e i bambini a dovere lasciare la casa, ma verranno trasferiti i maltrattanti. Non solo per non esporre i più deboli al rischio Covid-19, ma anche per non aggiungere violenza alla violenza.
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