Analisi del decreto, in relazione all'attività sportiva.
Autore: Avv. Cosimo Pagnini
di Diritto Al Punto Podcast
1. L’analisi della normativa di riferimento; 2. Alcune realtà sportive individuali: l’intervento del Presidente della FMI; 3. Conclusioni.
È oramai fatto notorio che il DPCM del 26.04.2020, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 108 del 27.04.2020, abbia prospettato e inquadrato l’inizio della c.d. “fase 2” rispetto all’emergenza dovuta alla pandemia Covid-19, ovvero una progressiva “riapertura del Paese”, con specifici riferimenti temporali al 4.05.2020.
Le disposizioni in esso contenute sono principalmente destinate alla regolamentazione delle misure da adottare in ragione della riapertura delle attività produttive affinché il Paese esca progressivamente dalla fase di “lockdown”. Tale prospettiva, tuttavia, come espressamente riferito dal Presidente del Consiglio, non sarà da intendersi come una vera e propria “bomba libera tutti”, tutt’altro.
L’analisi che ci si propone di affrontare, non è estesa all’intero Decreto, ma ai soli aspetti inerenti la ripresa dell’attività sportiva in generale, con una particolare attenzione a quelle che vantano un seguito sostanzioso parametrandole a quelle, come il motociclismo, che, invece, riscontrano un minor numero di seguaci.
L’analisi della normativa di riferimento
All’art. 1 del citato DPCM sub lett. a) è previsto il perpetrarsi delle misure restrittive in ordine agli spostamenti. Essi devono essere motivati, da apposita autocertificazione, “in ordine a comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità, motivi di salute, spostamenti per incontrare parenti e congiunti pur mantenendo la distanza di sicurezza fissata in 1 mt di distanza.” Resta fermo, per specifica disposizione, il divieto di sconfinamento in altre regioni differenti da quella in cui il soggetto è residente e, per converso, è ammesso il ritorno di chi, a causa delle misure restrittive imposte per la “fase 1”, è rimasto impossibilitato a tornare presso la propria abitazione.
La stessa norma sopra menzionata, alle lettere d), e), f), g) ed u) fissa regole ben precise in ordine a realtà strettamente collegate all’attività sportiva, vietando specificamente lo svolgimento di attività ludica all’aperto, consentendo d’altra parte quella motoria nel rispetto della distanza interpersonale di almeno 2 metri.
Ebbene, nella complessità e nell’apparente discrasia del contenuto delle norme è bene soffermarsi sull’aspetto etimologico di attività motoria. Secondo il Ministero della Salute, il concetto di attività motoria è sostanzialmente sinonimo di attività fisica, ovvero “qualunque movimento determinato dal sistema muscolo-scheletrico che si traduce in un dispendio energetico superiore a quello delle condizioni di riposo.” Lo sport, invece, “comprende situazioni competitive strutturate e sottoposte a regole ben precise.”
Questa distinzione non è possibile ritenerla pienamente soddisfacente per due distinte ragioni: una prima perché con la mera sottrazione dell’elemento “competitivo” e della “strutturale regolamentazione”, per qualunque disciplina, si tratterebbe in tutti i casi di “attività motoria”; una seconda perché sub art. 1 lettera f) del DPCM del 26.04.2020 si dispone: “…è consentito svolgere individualmente … attività sportiva o attività motoria, purché comunque nel rispetto della distanza di sicurezza…”. Ancora una volta, il contenuto delle disposizioni non aiuta l’interprete, che tuttavia è chiamato a fare luce sulla questione.
Per cercare di essere più chiari, possiamo affermare, con una buona dose di certezza, che la norma in esame vieti categoricamente gli “sport” di squadra, che trovano l’invalicabile limite del divieto di aggregazione.
D’altra parte è lecito chiedersi quali siano le restrizioni che invece possono incontrare pratiche sportive come quelle del nuoto libero, del ciclismo individuale, del motorsport, o del podismo.
La risposta non è certamente scontata. Alcuni sport, come il nuoto, possono trovare applicata la stessa limitazione degli sport di squadra, poiché risulta di difficile gestione la totale sanificazione degli impianti. Si pensi in particolar modo agli spogliatoi o alla stessa acqua della piscina: essi possono essere senza mezzi termini, il veicolo del Virus[1].
Se fino ad ora si è tentato di far luce su realtà sportive collettive o individuali che in qualche modo non escludono il contatto, giustificandone la limitazione, resta totalmente da affrontare la realtà degli sport individuali, o meglio la pratica di allenamenti, ovvero attività motoria, priva dell’elemento competitivo e della vicinanza o prossimità con gli altri.
Prima di entrare nel merito dell’analisi delle predette realtà sportive è doverosa una considerazione in ordine a quanto disposto alla lettera g) dell’art. del succitato DPCM: “Sono sospesi gli eventi e le competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, in luoghi pubblici o privati. Allo scopo di consentire la graduale ripresa delle attività sportive, nel rispetto di prioritarie esigenze di tutela della salute connesse al rischio di diffusione da COVID-19, le sessioni di allenamento degli atleti, professionisti e non professionisti - riconosciuti di interesse nazionale dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dal Comitato Italiano Paralimpico (CIP) e dalle rispettive federazioni, in vista della loro partecipazione ai giochi olimpici o a manifestazioni nazionali ed internazionali” - sono consentite, nel rispetto delle norme di distanziamento sociale e senza alcun assembramento, a porte chiuse, per gli atleti di discipline sportive individuali.[2]
Nonostante il largo contenuto della norma, alcuni aspetti sono estremamente ben disciplinati, tanto da essere in totale contrasto con la norma precedente. Secondo l’assunto sopra riportato, l’allenamento è consentito solo agli atleti professioni o non professionisti[3]riconosciuti “di interesse nazionale” da parte del CONI.
Se si volesse riassumere quanto sino ad ora esposto potremmo dire che: a) sono vietati gli spostamenti se non motivati con autocertificazione; b) tuttavia è ammessa l’attività motoria, purché nel rispetto delle distanze di sicurezza; c) non è ammesso l’allenamento se non di sportivi professionisti o non professionisti purché siano riconosciuti di interesse nazionale da parte del Coni.
2. Alcune realtà sportive individuali: l’intervento del presidente della FMI
I principali quotidiani, testate giornalistiche e telegiornali riportano con molta cautela la notizia inerente l’attività motoria e/o sportiva. A più riprese, infatti, questi si sono limitati ad affermare che è cessato il divieto di allontanamento massimo dalla propria residenza di soli 200 mt.
Ciò fa pensare, legittimamente, che nell’esercizio dell’attività motoria, si possa liberamente muoversi anche a distanze considerevoli rispetto alla propria abitazione. Con tale affermazione possiamo ritenere che l’attività podistica intesa come passeggiate o corsa, sia ammissibile sia che il soggetto percorra solo qualche kilometro, sia distanze maggiori (si pensi a titolo esemplificativo il cittadino che, seppur non professionista si cimenti nella preparazione della maratona).
Differente, invece, l’analisi circa l’esercizio di altri sport, quali ad esempio il ciclismo. Tale attività, a livello nazionale, si ritiene, a tutti gli effetti, al limite della praticabilità: da una parte, se individuale, rientrerebbe a pieno titolo nel disposto di cui all’art 1 lett. f) del DPCM del 26.04.2020, ma, comunque, se analizzato all’interno dell’intero dispositivo del predetto articolo, anche in relazione di quanto disposto sub lettera a) e g), questo non può ritenersi ammissibile se non per gli atleti professionisti o non professionisti di interesse nazionale da parte del CONI.
Alcune realtà regionali, in particolar modo la Toscana, hanno cercato di sciogliere il nodo inerente la pratica della predetta attività sportiva. Quest’ultima, con ordinanza del Presidente della Giunta Regionale n° 45 del 29/04/2020, ha così disposto ex art. 1: “È consentito svolgere passeggiate all’aria aperta e utilizzare la bicicletta nell’ambito del comune di residenza in modo individuale o da parte di genitori con figli minori ….”.
Ciò dimostra la complessità interpretativa delle norme contenute nel DPCM. Tuttavia, è apprezzabile l’intervento chiarificatore della Giunta Regionale Toscana che ha inteso disciplinare, in ragione della propria autonomia, la portata applicativa di una norma che, a livello nazionale, pare non ammettere la pratica del ciclismo.
Categorico l’obbligo di pazientare ulteriormente per gli amanti del motorsport. Una prima analisi merita l’aspetto sociale: la pratica in esame porta con sé importanti rischi. Una banalissima caduta può comportare lesioni fisiche che possono necessitare di un urgente trasporto in ospedale, portando il soggetto in un luogo che al momento è, per dato scientifico, il più rischioso nell’ottica del possibile contagio. Solo per questa motivazione potremmo dire che la diligenza richiesta, e in qualche modo imposta ad ogni singolo consociato, vorrebbe che il singolo evitasse di dilettarsi attraverso questa pratica sportiva.
La seconda analisi più stringente è già stata avanzata dal Presidente della Federazione Motociclistica Italiana, avv. Giovanni Copioli, di cui si riporta, in seguito, gli estratti più salienti della comunicazione inviata a tutti i tesserati con cui si precisa che:
•SONO SOSPESE le manifestazioni o competizioni sportive federali di ogni ordine e specialità motociclistica, a livello nazionale e territoriale almeno fino al 17 maggio compreso.
•SONO SOSPESE le attività che si svolgono sotto il coordinamento federale compresi i raduni mototuristici, i corsi per Licenziati, le sedute di allenamento strutturato (collegiali o stage), a livello nazionale e territoriale almeno fino al 17 maggio compreso.
•È CONSENTITA l’attività di allenamento – in impianti omologati FMI ed autorizzati all’apertura in base alle singole ordinanze regionali - degli atleti riconosciuti di interesse nazionale dalla FMI, ovvero Piloti di interesse nazionale; Talenti Azzurri; Talenti nazionali; Piloti già iscritti a campionati mondiali ed europei.
La riportata comunicazione, fortunatamente, non lascia dubbi interpretativi.
3. Conclusioni
In conclusione, non si può che constatare un importante contrasto fra le singole disposizioni contenute nell’ultimo DPCM del 26.04.2020. Per questo si ritiene consigliabile a tutti i cittadini, che intendano riprendere la propria attività motoria e sportiva al di fuori delle mura domestiche, di cimentarsi nella sola pratica del podismo e del ciclismo entro il proprio Comune di residenza e con specifico riferimento alla regione Toscana. Ciò in forza del fatto che esse sono state le uniche attività ad essere oggetto di precisazioni a livello governativo e regionale. Al di fuori di queste, non resta che attendere le nuove disposizioni Ministeriali, evitando possibili sanzioni derivanti da un’applicazione stringete delle norme.
[1] Tale disposizione è estendibile al tennis o ad altri sport praticati all’interno di centri sportivi tali da essere capaci di accogliere un grande numero di giocatori e soci. Ciò, oltre che per interpretazione estensiva, è specificamente dettato dal divieto imposto ex lettera u) sub art. 1 che vieta, per esempio, l’apertura di piscine o impianti sportivi. [2] Per completezza espositiva così prosegue la norma: “…A tali fini, sono emanate, previa validazione del comitato tecnico-scientifico istituito presso il Dipartimento della Protezione Civile, apposite Linee-Guida, a cura dell'Ufficio per lo Sport della Presidenza del Consiglio dei ministri, su proposta del CONI ovvero del CIP, sentita la Federazione Medico Sportiva Italiana, le Federazioni Sportive Nazionali, le Discipline Sportive Associate e gli Enti di Promozione Sportiva;” [3] La differenza concettuale e sostanziale fra atleti professionisti e non professionisti è contenuta nella legge n. 91 del 23/03/1981 denominata “norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”. Questa prevede che: “E’ professionista sportivo, colui il quale esercita attività sportiva a favore di una società sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità, nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI che hanno riconosciuto il professionismo.” Le federazioni sportive italiane affiliate al CONI, che hanno riconosciuto il professionismo sono (con effetto dal 2014 anche a causa delle crisi globale che colpisce la maggior parte delle aziende che fungevano da sponsor) solo 4: calcio, ciclismo, golf e pallacanestro. Per questo, sono atleti professionisti solo coloro che sono soggetti attivi di un rapporto di lavoro nello sport, che si costituisce mediante assunzione diretta, con la stipulazione di un contratto in cui la forma scritta è richiesta ad substantiam, secondo il contratto tipo predisposto ogni tre anni dalle federazioni sportive nazionali e dai rappresentanti delle categorie interessate. Il richiamo del DPCM agli atleti non professionisti, dunque, è bilanciato dall’interesse del CONI verso il singolo atleta. Infatti, qualora questi pratichi una disciplina sportiva che non rientri fra quelle riconosciute come professionistiche, nonostante la partecipazione ad eventi di caratura mondiale – ad esempio le Olimpiadi –, gli sarebbe preclusa la possibilità di riprendere la propria attività e preparazione a suddette manifestazioni. (Cfr. https://www.diritto.it/sportivi-professionisti-chi-sono-quali-le-caratteristiche-del-lavoro-sportivo/)
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