Nuove norme e perplessità
Autore: Avv. Cosimo Pagnini
Indice: 1. Il Decreto Ministeriale n. 286 del 28.10.2021; 2. Il ricorso al Tar Lazio contro il D.M. n. 286 del 28.10.2021 3. Il ruolo delle Regioni; 4. La Legge 156/2021. Il targhino in gara: due previsioni contrastanti?; 5. L’enduro non è un crimine: perché la sua pratica è considerata fuorilegge?; 6. Conclusioni
1. Il Decreto Ministeriale n. 286 del 28.10.2021
Il Decreto Ministeriale n. 286 del 28.10.2021 ha definito i criteri minimi nazionali inerenti agli scopi, le tipologie e le caratteristiche tecnico-costruttive della viabilità forestale e silvo-pastorale, delle opere connesse alla gestione dei boschi e alla sistemazione idraulico-forestale. Ciò ha inciso, inevitabilmente, su alcuni interessi collaterali, fra i quali quelli della comunità delle ruote artigliate in quanto, detto Decreto, nel regolare le caratteristiche tecniche costruttive di cui sopra, ha vietato il transito ordinario sulle aree forestali e silvo-pastorali.
Prima di analizzare, nel merito, il contenuto del D.M. 286/2021 è utile chiarire cosa si intenda nell’ordinamento interno con “Decreto Ministeriale” e, quindi, quale sia la sua collocazione nell’ambito del sistema delle c.d. “fonti del diritto”.
A livello generale, per fonti del diritto si intendono tutti gli atti o fatti capaci di innovare un ordinamento giuridico. Nel nostro sistema queste “fonti” seguono un preciso ordine gerarchico in cui, volendo immaginare uno schema di tipo piramidale, troviamo al vertice, la Carta Costituzionale e i Trattati internazionali; a livello “intermedio”, la legge primaria e gli “atti aventi forza di legge”; a queste seguono le cd. fonti secondarie laddove, ai piedi della struttura, si collocano gli usi e consuetudini variamente declinati.
In questo contesto, il Decreto Ministeriale (il “D.M.”) è una fonte secondaria che può essere espressa anche in forma di atto amministrativo adottato dal Ministro nell'esercizio della sua funzione e nell'ambito delle competenze del suo dicastero, ovvero attuando l’indirizzo politico di cui è portatore al fine di perseguire l’interesse pubblico.
Si è appena detto che il D.M., è una fonte normativa secondaria che “può” esprimersi nella forma dell’atto amministrativo: perché?
Attraverso la forma del Decreto Ministeriale, infatti, possono essere dettate tanto norme generali e astratte, quanto disposizioni particolari: nel primo caso, un Decreto Ministeriale può apportare innovazioni all’ordinamento giuridico (un esempio di atto normativo è il Regolamento); nel secondo caso, invece, esso costituisce un mero atto amministrativo. Al fine di distinguere tra atto normativo e atto amministrativo generale occorre fare riferimento al requisito della indeterminabilità dei destinatari, nel senso che atto normativo è quello i cui destinatari sono indeterminabili sia a priori che a posteriori (essendo proprio questa la conseguenza della generalità e dell'astrattezza), mentre l'atto amministrativo generale ha destinatari indeterminabili a priori, ma certamente determinabili a posteriori in quanto è destinato a regolare non una serie indeterminati di casi ma, conformemente alla sua natura amministrativa, un caso particolare e/o una vicenda determinata, esaurita la quale vengono meno anche i suoi effetti[1].
Rimanendo sempre su un piano generale, è doveroso anche chiarire cosa debba intendersi per “viabilità forestale e silvo-pastorale”.
Con questa espressione, si fa riferimento ad un insieme di strade e piste extraurbane, a bassa o media densità di traffico, che sono utilizzate esclusivamente, o principalmente, per il trasferimento su autoveicoli a motore, di persone e beni per la gestione agro-silvopastorale; quando questa viabilità interessa esclusivamente o prevalentemente superfici forestali, prende il nome di viabilità forestale; se risulta al servizio di comprensori di pascolo, può essere detta anche viabilità pastorale; laddove, invece, attraversi in prevalenza superfici agricole prende nome anche di viabilità agricola interpoderale.
Quando la proprietà del sedime è privata, l’utilizzo è consentito ai soli proprietari dei fondi; diversamente, invece, se il sedime è riconducibile ad un ente pubblico, la regolamentazione dell’utilizzo e percorrenza è affidata alla normativa locale. È importante evidenziare che in ipotesi di sedimi di proprietà di Enti pubblici, la viabilità agro-silvopastorale non è di pubblico transito e quindi non soggetta alle norme del Codice della Strada.
La viabilità agro-silvopastorale costituisce una rete di percorsi interconnessi alla viabilità pubblica, di cui rappresenta idealmente il proseguimento e la ramificazione nelle porzioni distali del territorio, ove mancando insediamenti umani permanenti, sussistono necessità di accesso unicamente per motivi produttivi e gestionali[2].
Sulla base delle considerazioni in precedenza svolte e tutto considerato, al D.M. n. 286 del 28.10.2021[3] potrebbe essergli riconosciuta la natura di un atto generale ed astratto e perciò idoneo, di per sé, ad innovare l’ordinamento giuridico.
L’art. 1 del D.M. citato, ne chiarisce le sue finalità e cioè “definire i criteri minimi nazionali inerenti agli scopi, le tipologie e le caratteristiche tecnico-costruttive della viabilità forestale e silvo-pastorale, delle opere connesse alla gestione dei boschi e alla sistemazione idraulico-forestale secondo quanto disposto all’art. 9 del decreto legislativo 3 aprile 2018, n. 34”.
Ne discende che le norme contenute in detto Decreto guardano alla costituzione ed alle opere a questa strettamente legate - all’interno della viabilità forestale - individuando 3 macroaree: viabilità principale; viabilità secondaria; tracciati di uso ed allestimento temporaneo.
Al contempo, nel successivo art. 3, vengono indicate specificamente le caratteristiche che queste strade debbono avere per rientrare nella prima, nella seconda ovvero nella terza categoria e che riguardano la larghezza minima e massima, le caratteristiche del fondo stradale, la predisposizione dello scorrimento delle acque nonché l’idoneità delle seconde e delle terze al transito di specifici veicoli quali trattori, macchine operatrici specializzate, animali da lavoro e veicoli fuoristrada a trazione integrale.
V’è da dire che ciò che ha maggiormente spaventato gli enduristi è stata la previsione di cui all’art. 2 n. 3 secondo cui “Indipendentemente dal titolo di proprietà, la viabilità forestale e silvo-pastorale e le opere connesse come definite al successivo art. 3 sono vietate al transito ordinario e non sono soggette alle disposizioni discendenti dagli articoli 1 e 2 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (il nuovo codice della strada). Le Regioni disciplinano le modalità di utilizzo, gestione e fruizione tenendo conto delle necessità correlate all’attività di gestione silvo-pastorale e alla tutela ambientale e paesaggistica”.
Tuttavia, ciò che non è sembrato chiaro, ingenerando la preoccupazione di un divieto assoluto[4], sta nel fatto che il D.M. in commento, in sostanza, non ha altro obiettivo se non quello di regolamentare le modalità di realizzazione e/o gestione della viabilità forestale e silvo-pastorale e non di interdire ovunque la pratica del fuoristrada su tutte le strade, ponendosi probabilmente come atto normativo con portata generale ed astratta.
Appare opportuno chiarire, comunque, che il D.M. n. 286 del 28.10.2021 non pare abbia innovato sensibilmente il panorama normativo già esistente in materia, perché già la disciplina antecedente la sua pubblicazione prevedeva il divieto di transito su queste aree. A titolo solo esemplificativo e non esaustivo, si rinvia all’art. 4 della legge provinciale della Regione Trentino-Alto Adige n. 52 del 28 dicembre 2004 che recita: “ Su tutte le strade forestali e le piste d'esbosco è vietata la circolazione con veicoli a motore, ad eccezione di quelli adibiti alla sorveglianza e alla gestione dei patrimoni silvo-pastorali nonché di quelli impiegati per lo svolgimento di pubblici servizi o funzioni, nonché di quelli autorizzati di volta in volta dal proprietario in casi straordinari di necessità ed urgenza”; come pure l’art. 4 della Legge Regionale 31 marzo 1992, n. 14 (BUR n. 36/1992) della Regione Veneto che all’art. 4 statuisce: “Nelle strade silvo-pastorali e nelle aree assimilate di cui all'art. 2 è vietata la circolazione dei veicoli a motore…”. Anche la Regione Lombardia contempla una normativa similare a quelle appena richiamate.
In questo contesto, appare evidente, che il divieto di transito menzionato nel D.M. in commento era, in realtà, già vigente da anni su alcuni territori italiani.
Per concludere l’analisi del Decreto Ministeriale, occorre tornare brevemente sulle considerazioni fatte in premessa in ordine alla natura di questo atto. Si è detto, infatti, che il D.M. può essere un atto generale di contenuto astratto tale da apportare innovazioni all’ordinamento giuridico, oppure un mero atto amministrativo che prevede disposizioni particolari.
Su questa polarizzazione si concentra il presente contributo. Collocare il D.M. in esame nell’una o nell’altra categoria, permetterebbe all’interprete di comprendere se questo atto possa, o meno, essere impugnato innanzi al Giudice amministrativo; nel primo caso, dovrebbe considerarsi alla stregua di un atto normativo “di volizione-azione” e cioè un atto amministrativo normativo e, in quanto tale, impugnabile nelle sue sedi; nel secondo alla stregua di un atto solo normativo che, caratterizzandosi per la sua innovatività, la sua astrattezza e la sua generalità, non è idoneo a ledere specificamente la sfera giuridica del destinatario.
La FMI (Federazione Motociclistica Italiana), valutata la natura del D.M. 286/2021, ne ha proposto l’impugnazione dinanzi al Tar Lazio, di cui si dirà brevemente nel proseguo.
A livello metodologico, comunque, anche laddove il D.M. n. 286 del 28.10.2021 fosse considerato atto normativo “di volizione-azione” di natura amministrativa e quindi discrezionale, il sindacato del giudice su questo atto sarà limitato (incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge) non potendosi spingere oltre ed entrare nel merito.
Diverso ancora sarebbe il caso in cui il D.M. in esame fosse considerato un atto amministrativo normativo di “volizione-preliminare” perché, in tale ultima ipotesi, potrebbe figurarsi un’alternativa per le associazioni di categoria. L’atto amministrativo, infatti, sarebbe sì talmente astratto e generico da non poter essere impugnato autonomamente, in quanto non idoneo a ledere la sfera giuridica dei cittadini. Tuttavia, sarebbe “aggredibile” con la tecnica della cd. “doppia impugnativa” (dell’atto amministrativo conseguente e quindi dell’atto ad esso presupposto e cioè il D.M. in commento) (cfr. par 3).
2. Il ricorso al Tar Lazio contro il D.M. n. 286 del 28.10.2021
È notizia estremamente recente, pubblicata sulle principali testate giornalistiche di settore[5], che la FMI (Federazione Motociclistica Italiana) abbia impugnato il contenuto del D.M. n. 286 del 28.10.2021 innanzi al competente Tribunale, ovvero innanzi al TAR del Lazio.
La scelta di ricorrere al Tar era già “nell’aria” in ragione delle prime dichiarazioni rilasciate a seguito della pubblicazione del D.M. sulla Gazzetta Ufficiale.
In particolare, fin dalle prime ore successive a detta pubblicazione, tanto la FMI (Federazione Motociclistica Italiana) che l’ ANCMA (Associazione Nazionale Ciclo Motociclo Accessori) si erano dichiarate assolutamente pronte a “combattere aspramente” questo Decreto che, a loro dire, è il presupposto utile per interdire la pratica del fuoristrada andando a ledere non solo la possibilità d’espressione dell’individuo a livello ricreativo ma, soprattutto, rischiando un vero e proprio tracollo dell’indotto collegato alla pratica dell’enduro.
Di talché, le stesse si sono impegnate alacremente aprendo un tavolo di trattative a livello ministeriale con l’intento di evitare danni ingenti e, la FMI, di concerto con i propri professionisti, ha deciso di non far scadere il termine ed impugnare il D.M. innanzi al Tar competente, ritendo presenti “profili di incostituzionalità del decreto, dati dalla mancanza di bilanciamento degli interessi in gioco e dalla necessità di garantire la libera circolazione, il diritto alla libera iniziativa economica e quello di svolgere attività sportiva e ricreativa …”.
Sulla base di quanto rappresentato al paragrafo precedente e segnatamente sulla natura del D.M. in commento, sarà opera e responsabilità del Tar considerare detto ricorso come “ammissibile” e soprattutto, sarà interessante vedere quale sarà la risposta, laddove il D.M. n. 286 del 28.10.2021 sia considerato come atto normativo “di volizione-azione”. In tal caso, avendo l’atto natura altamente discrezionale, il giudice potrà sindacarne esclusivamente i vizi di legittimità (incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge), ma non potrà spingersi oltre, entrando nel merito dell’atto stesso[6].
3. Il ruolo delle Regioni
Come si è avuto modo di precisare al paragrafo precedente, la FMI ha presumibilmente interpretato il D.M. in esame in termini di un atto di “volizione azione” e per questo motivo, lo ha impugnato dinanzi al TAR Lazio.
Tuttavia, non è da escludere l’interpretazione del D.M. in esame come atto amministrativo normativo di “volizione-preliminare” con tutte le conseguenze sopra delineate in punto di doppia impugnativa dell’atto amministrativo conseguente e quindi dell’atto amministrativo normativo presupposto (cfr. par 1).
Se così fosse, l’atto amministrativo conseguente deve essere emanato dalle Regioni alle quali, ai sensi e per gli effetti dell’art. 117 Cost., è riservata la competenza a legiferare in materia di “governo del territorio, valorizzazione dei beni culturali e ambientali”. A conferma di ciò anche quanto espressamente previsto dal D.M. in commento in cui, infatti, viene precisato che: “Le regioni, nell’ottica della semplificazione e nel rispetto dei procedimenti autorizzativi necessari, definiscono la documentazione progettuale minima per la realizzazione della viabilità forestale e silvo-pastorale, modulandola specificatamente per le diverse tipologie di cui al presente decreto, con un livello di onerosità tecnica decrescente a partire dalla viabilità principale.”. E ancora le Regioni “per quanto di loro competenza…possono integrare le disposizioni del presente provvedimento purché non venga diminuito il livello di tutela e conservazione delle foreste come presidio fondamentale della qualità della vita”. Di poi: “…le regioni possono provvedere all’implementazione di una propria Banca dati georeferenziata della viabilità forestale e silvo-pastorale principale e secondaria da aggiornare periodicamente, distinguendo per ogni categoria di cui all’art. 3, commi 3 e 4, lo sviluppo, inteso come valore numerico in metri, e lo stato di percorribilità e delle eventuali necessità di manutenzione.”
Dunque, sulla base delle disposizioni sopra richiamate unitamente alla previsione Costituzionale, è lecito ritenere che le Regioni singolarmente – recepito il contenuto del D.M. nel termine di 180 giorni dalla pubblicazione dello stesso all’interno della Gazzetta Ufficiale, salvo concessione della sospensione dell’efficacia da parte del Tar Lazio adito dalla FMI - decidano anche di “modificare” la realtà viaria che percorre le aree boschive, istituendo nuove aree forestali o silvo-pastorali, rendendo conseguentemente impossibile il transito veicolare non autorizzato.
V’è anche da dire che, annoverando la rete viaria fra le aree forestali e silvo-pastorali, sulla Regione o comunque sull’ente pubblico territoriale graverebbero gli oneri e i costi non solo di rendere dette strade conformi per struttura, larghezza, fondo e scolo delle acque conformi alla previsione normativa di cui al D.M. n. 286 del 28.10.2021, ma anche di far fronte in termine economico e di personale al loro permanente mantenimento.
In un’epoca storica come quella attuale dove l’interesse verso l’ecosostenibilità e il concetto di “green” spesso si scontra con l’ostacolo economico, è difficile pensare che le Regioni si facciano carico anche di questi costi, senza che ciò, d’altra parte, costituisca una garanzia del mantenimento dello status quo e, di conseguenza, la possibilità per l’endurista di coltivare la propria passione in modo, per così dire, incontrastato.
4. La Legge 156/2021. Il targhino in gara: due previsioni contrastanti?
Il D.M. n. 286/2021 ha avuto un effetto dirompente nella realtà che si era venuta a creare con l’approvazione della Legge n. 156/2021, che ha convertito, con modificazioni, il Decreto Legge 10 settembre 2021, n. 121 “recante disposizioni urgenti in materia di investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e della circolazione stradale, per la funzionalità del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle infrastrutture stradali e autostradali.”
Con l’allegato a detta legge sono state offerte le modificazioni al D.L. 10 settembre 2021, n. 121 in sede di conversione e segnatamente si legge “c -quater ) all’articolo 100, comma 10, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: “I motoveicoli impegnati in competizioni motoristiche fuori strada che prevedono trasferimenti su strada possono esporre, limitatamente ai giorni e ai percorsi di gara, in luogo della targa di cui al comma 2, una targa sostitutiva costituita da un pannello auto-costruito che riproduce i dati di immatricolazione del veicolo. Il pannello deve avere fondo giallo, cifre e lettere nere e caratteristiche dimensionali identiche a quelle della targa che sostituisce ed è collocato in modo da garantire la visibilità e la posizione richieste dal regolamento per le targhe di immatricolazione. Sono autorizzati all’utilizzo della targa sostitutiva i partecipanti concorrenti muniti di regolare licenza sportiva della Federazione motociclistica italiana, esclusivamente per la durata della manifestazione e lungo il percorso indicato nel regolamento della manifestazione stessa”;
La previsione normativa sopra richiamata ha rappresentato un motivo di serenità per gli enduristi che prendono parte alle competizioni perché da ormai un decennio, il targhino che era usanza montare in durante le manifestazioni sportive era stato espressamente vietato, obbligando i concorrenti ad installare sul proprio motoveicolo la targa originale. Questo ha ingenerato polemiche incessanti: la rottura o lo smarrimento della targa durante allenamenti o competizioni obbligava il proprietario alla re-immatricolazione del veicolo con costi ingenti. A far data da quella previsione normativa, anche le case costruttrici hanno tentato di correre ai ripari mettendo in produzione porta targa molto più resistenti e ampi, idonei a sorreggere la targa originale, cercando di limitarne al massimo la perdita o la rottura. Sebbene, si possa dire con certezza che in parte ci siano riuscite, il problema non è stato del tutto eliminato. Di lì è stato l’ingegno dei piloti e dei meccanici a perfezionare quanto già proposto dalle case costruttrici.
Quindi, la Legge 156/2021, se da una parte ha sicuramente rincuorato i centauri del fuoristrada impegnati nelle manifestazioni sportive organizzate anche sotto l’egida degli Enti accreditati, dall’altra si pone in ipotetico contrasto con il D.M. n. 286/2021 perché se da un lato si sostengono le richieste decennali portate avanti a spada tratta dalla FMI (in ordine alla opportunità del c.d. “targhino”), dall’altra si gettano le basi per interdirne la pratica[7].
Analizzando la Legge 156/2021 sembra potersi dire che quanto in essa contenuto non sia stato il frutto di una riflessione ad opera di tecnici di settore tanto è vero che neppure è tenuto in conto il problema in cui si potrebbe incorrere nell’organizzazione delle manifestazioni sportive con l’applicazione della predetta normativa.
Sino ad oggi, in alcuni e concreti casi, ci si è serviti di una fictio iuris nella fase organizzativa della manifestazione, ovvero limitando la definizione di “gara” nei tratti annoverati come “prove speciali” mentre, i trasferimenti, venivano considerati come tali, ovvero esterni all’elemento competitivo e, dunque, assoggettati pienamente alla disciplina del C.D.S.
Guardando, invece alla nuova normativa[8], si dovrebbe poter concludere che il termine “gara” non è più sezionabile rispettivamente in “trasferimento” e “prova speciale”, ipotizzando che l’ennesima cortina di fumo normativa, avvolga e complichi i rapporti fra l’amministrazione locale e l’ente organizzatore.
In chiusura sul punto, è doveroso dare risposta alle domande più frequenti, su tutte: “perché non è possibile utilizzare il “targhino” di dimensioni sensibilmente ridotte come hanno nel mondiale?”. Anzitutto, è bene precisare che anche in costanza delle prove di Campionato Mondiale Enduro GP tenutesi in Italia fino ad oggi, tutte le moto hanno montato, all’ingresso e all’uscita del parco chiuso, la targa originale. Infatti, anche secondo i regolamenti particolari, si prevedeva che i veicoli fossero conformi al C.D.S. e quello vigente in Italia obbligava all’apposizione della targa originale: la situazione è oggi mutata in ragione dell’intervento della Legge 156/2021. Tuttavia, la nuova previsione normativa, obbligherà i concorrenti, in costanza di dette manifestazioni in Italia, ad apporre sul proprio veicolo la targa su sfondo giallo e delle dimensioni originali che, proprio la Legge 156/2021, ha introdotto e disciplinato.
Di poi, è solo goliardica l’affermazione secondo cui “che sia grande o piccola la targa siamo comunque fuori legge”, basti pensare che in occasione del transito dei motoveicoli sui tratti asfaltati, la targa, seppur in plastica e su sfondo giallo, è perfettamente rilevabile dai sistemi di “autovelox” o quelli posti in costanza delle lanterne semaforiche per riscontrarne le infrazioni, cosa che, con la targa rimpicciolita non sarebbe possibile ottenere.
Ritenendo di aver dato esaustiva risposta al quesito sorto in ragione dell’apparente contrasto normativo creatosi, in chiusura sul punto, è bene precisare che la normativa in parola è limitata ai giorni di svolgimento della manifestazione sportiva. Ne consegue che piloti e appassionati in costanza di allenamenti, motocavalcate, eventi non competitivi o transiti differenti rispetto a quelli afferenti la gara, dovranno sempre montare ed esporre sul veicolo la targa originale.
5. L’enduro non è un crimine: perché la sua pratica è considerata fuorilegge?
Praticare l’enduro non è un “crimine” e gli enduristi non sono dei “criminali”: questo è un assunto incontrovertibile. Qualunque pilota, sia esso professionista o amatore, pratica l’enduro perché della propria passione ha fatto il suo lavoro o semplicemente ama percorrere i sentieri nel bosco con gli amici, al pari di coloro i quali trovano diletto e sfogo nella pratica del calcetto.
Ciò viene detto perché sono soventi le sanzioni elevate agli enduristi che, spesso, a loro insaputa transitano in aeree boschive, ove lo stesso traffico non è consentito, ma non segnalato o specificamente interdetto. Del pari, ad onor del vero, va anche detto che come qualsiasi comunità, anche quella delle ruote artigliate annovera soggetti che consciamente transitano con moto assolutamente non in regola (moto da cross/ senza targa) o scientemente percorrono aree soggette a vincoli o addirittura zone parco, motivando che da sempre si è percorso quel sentiero.
Il primo monito, quindi, da rivolgere agli enduristi è il seguente: “ignorantia legis non excusat” (nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge, salvo se inevitabile), per cui il fatto che un certo sentiero percorso da tempo immemore, all’epoca non rientrasse nell’area parco, non scusa il motociclista negligente che non si sia informato sulla legge oggi vigente e, del pari, detta “ignoranza” non precluderà l’applicazione di sanzioni.
Inutile tediare l’interlocutore con le questioni relative alle prestazioni effettive dei motoveicoli. Si vuol fare riferimento in punto all’installazione di specifici kit che rendono il mezzo meccanico oltremodo prestante, o elaborazioni artigianali che dir si voglia. Anche in questo caso la ricerca della massima prestazione del proprio motoveicolo, seppur in assoluta buona fede, è inscusabile, in quanto, con detti interventi, si va ad alterare le caratteristiche di un veicolo certificate al momento della sua immatricolazione.
Se quelli appena descritti si presentano come veri e propri casi eclatanti, ve ne sono altri davvero al limite che, tuttavia, fanno si che l’endurista ricada nell’illiceità.
Si fa riferimento, ad esempio, alle innumerevoli occasioni in cui i motoveicoli si presentano “ai blocchi di partenza” senza lo specchio retrovisore, o con le mousse installate. Elementi apparentemente banali, che, tuttavia, non sono da ritenersi rispettosi delle norme vigenti.
E ciò che più spaventa, è il fatto che di questa circolazione, che vogliamo definire “al limite del consentito”, siano pienamente a conoscenza gli Enti che organizzano manifestazioni sportive, in quanto al momento dell’iscrizione e delle c.d. verifiche tecnico/amministrative si controlla che il veicolo sia in regola con le prescrizioni codicistiche ammettendolo alla manifestazione. Infatti, con intento chiarificatore, la moto da cross non immatricolata, non targata, senza luci, senza cavalletto etc. etc. non sarà ammessa alla manifestazione sportiva.
Del resto, la Legge n. 156/2021, con le problematiche che si sono già analizzate, non concede una deroga in tal senso.
È chiaro che la disamina in punto sia meramente provocatoria: è quanto meno ovvio che ci siano interessi economici collaterali a dir poco mastodontici che non possono e non devono essere azzerati in quanto, per il tramite di questi, si incrementa una percentuale del PIL e, di conseguenza la “sopravvivenza” di tutti i soggetti impegnati lavorativamente nei settori collegati.
Tuttavia, tornando alla disamina in oggetto e ai fini della “corretta educazione dell’endurista”, va anche detto che, troppo spesso, non concorrono ad una buona immagine del settore i diretti interessati. In particolare, il monito è rivolto a chi ha una grande influenza mediatica. Nella realtà socio virtuale in cui viviamo, i social network si pongono come mezzo di grande comunicazione e il loro uso distorto è spesso dannoso per la collettività.
Invero, capita soventemente, di veder pubblicate immagini o videoriprese in cui professionisti o appassionati, con il solo intento di mostrare le proprie abilità tecnico sportive, travalichino la liceità della pratica del fuoristrada. Ciò, ovviamente, in un’epoca storica in cui la pratica sportiva in commento non è certo vista di buon occhio, fa sì che tali pubblicazioni si presentino come una vera e propria “spada di Damocle” su tutta la collettività che ne esercita la pratica.
La sopravvivenza dell’enduro, quindi, passa assolutamente per il rispetto delle regole da parte di tutti e questo deve essere il monito più ferreo cui devono attenersi professionisti ed appassionati.
6. Conclusioni
In conclusione, indipendentemente dalla apparente natura del Decreto Ministeriale n. 286/2021 come un atto normativo “di volizione-azione”, va dato atto della sua impugnazione innanzi al Tar Lazio. Il sindacato del Giudice Amministrativo, ove ritenga ammissibile detto ricorso, si ritiene possa vertere esclusivamente su eventuali vizi di legittimità (incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge), ma non potrà entrare nel merito dell’atto stesso.
Indipendentemente da ciò, per il futuro, si ritiene possibile che le associazioni di categoria, a seguito dell’adozione di atti specifici anche ed eventualmente ad opera delle Regioni, impugnino, secondo la tecnica della “doppia impugnativa”, tanto l’atto amministrativo che discenderà quanto il Decreto Ministeriale quale suo presupposto, considerando quest’ultimo come un atto amministrativo normativo di “volizione-preliminare”.
In ogni caso, si è visto, che il contenuto del D.M. in commento non può dirsi totalmente innovativo sul panorama legislativo preesistente. Le ipotetiche problematiche che possono ingenerarsi agli esiti della pubblicazione del Decreto Ministeriale n. 286 del 28.10.2021, si presentano solo come la punta di un iceberg appena affiorante nel mare, che, al di sotto, invece, si presenta come un’enorme struttura con problematiche molto più ingenti che rischiano di far sì che l’enduro condivida l’esito nefasto del Titanic.
La richiesta d’intervento da parte degli enti preposti, dunque, più che contrastare un decreto che sostanzialmente sembra “solo” regolare le modalità di realizzazione della viabilità forestale e silvo-pastorale, deve passare per un’aspra battaglia a livello legislativo affinché l’endurista non sia più un uomo appassionato che si esprime (come singolo o come aggregazione sociale all’interno dei motoclub di appartenenza) su un “filo di lama” fra legalità e illegalità a seconda della volontà di “chiudere un occhio” o meno da parte dell’autorità, ma che sia un uomo o una collettività qualunque che esprima la propria personalità all’interno di precisi e conosciuti limiti legislativi certi ed inattaccabili.
[1] Cfr. Studio Legale Marella “Decreto ministeriale: atto amministrativo generale o atto normativo?” Consiglio di Stato, Ad. Plen., 4 maggio 2012 n. 9 http://www.studiolegalemarella.it/giurisprudenza/diritto-amministrativo/54/decreto-ministeriale-atto-amministrativo-generale-o-atto-normativo/696/. [2] CIELO P., GOTTERO F., MORERA A., TERZUOLO P., 2003 – La viabilità agro-silvopastorale: elementi di pianificazione e progettazione. IPLA - Regione Piemonte, 106 pp. [3] Emanato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali in concerto sia con il Ministero della Cultura sia con il Ministero della Transizione Ecologica, ciascuno per i rispettivi campi di competenza [4] Cfr. Motociclismo.it “Fuoristrada vietato in tutta Italia: è legge” M. Gualdani 14.12.2021 https://www.motociclismo.it/fuoristrada-vietato-in-tutta-italia-e-legge-79908 [5] Cfr. Motociclismo.it “Divieto fuoristrada: la FMI fa ricorso al Tar” M. Gualdani 01.02.2022 https://www.motociclismo.it/divieto-fuoristrada-fmi-fa-ricorso-al-tar-80088 [6] Nel nostro ordinamento vige la regola della tripartizione dei poteri: esecutivo, giudiziario e legislativo. In particolare, il potere legislativo viene esercitato dal Parlamento, istituzione deputata a garantire la democrazia in uno Stato di diritto; il potere giudiziario è affidato alla Magistratura e, infine, quello esecutivo al Governo. Questa tripartizione è essenziale per comprendere come ognuna di queste istituzioni goda di un proprio, preciso, ambito di operatività, nel quale gli altri poteri non possono e non devono sconfinare. Sulla base di detta tripartizione dei poteri, il potere Giudiziario non può sindacare il merito e l’opportunità degli atti dell’Esecutivo, laddove questi non siano a contenuto vincolato. [7] Cfr. Gazzetta.it “Decreto fuoristrada: i punti non chiari. Cosa dice il ministero” Matteo Solinghi 18.12.2021 https://www.gazzetta.it/motori/la-mia-moto/18-12-2021/decreto-fuoristrada-punti-non-chiari-cosa-dice-ministero-430523018149.shtml [8] “I motoveicoli impegnati in competizioni motoristiche fuori strada che prevedono trasferimenti su strada possono esporre, limitatamente ai giorni e ai percorsi di gara, in luogo della targa di cui al comma 2, una targa sostitutiva costituita da un pannello auto-costruito che riproduce i dati di immatricolazione del veicolo”
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